“La dolosa omissione ascritta ai pervenuti … ha comportato… la morte dei migranti e dunque sussistono gli elementi costituitivi di tutti i reati ascritti”. I migranti erano i 268 siriani, tra cui una sessantina di bambini, che scappavano dalla guerra, annegati nel naufragio avvenuto a sud di Lampedusa l’11 ottobre del 2013. L’omissione è riferita a Leopoldo Manna (capitano di fregata della Marina militare) e Luca Licciardi (capitano di vascello delle Capitanerie di porto) imputati nel processo sul naufragio per cui il 2 dicembre scorso i giudici hanno dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. “Ci sono voluti 9 anni di battaglia giudiziaria per vedere scritta, seppure su una sentenza di prescrizione e nonostante la richiesta di assoluzione avanzata dalla Procura di Roma, la verità processuale circa le responsabilità del naufragio dell’11 ottobre 2013 che costò la vita a 268 persone e tra loro 60 bambini” scrivono in una nota gli avvocati difensori delle parti civili nel processo per il ribaltamento del barcone. Entrambi gli imputati erano finiti a giudizio omicidio colposo e omissione di atti di ufficio dopo che il giudice aveva disposto l’imputazione coatta.

“La nave – come spiegarono i legali dei superstiti e dei familiari – era già quattro ore prima del naufragio del peschereccio a sole 27 miglia marina dal peschereccio in difficoltà e avrebbe potuto intervenire prestando soccorso e salvando molte vite. Il peschereccio si capovolse a circa 50 miglia nautiche a sud di Lampedusa e a 180 migliaia da Malta”. L’inchiesta parte da un esposto presentato dal giornalista Fabrizio Gatti, allora inviato de L’Espresso. I superstiti, che sull’imbarcazione avevano un telefono satellitare, hanno detto di aver “più volte chiamato” la Guardia Costiera ma i soccorsi subirono “molti ritardi anche perché le autorità italiane erano convinte che la competenza fosse maltese”. E lo stesso convincimento venne espresso dalla guardia costiera maltese, ma ovviamente a parti invertite. Un rimpallo che fece perdere tempo prezioso per mettere in salvo le persone a bordo dell’imbarcazione.

“L’accertamento dei reali fatti occorsi in quella tragica giornata, dunque delle conseguenze del mancato tempestivo intervento in soccorso dei naufraghi da parte dell’Italia e di Malta, già effettuato con la decisione del 27 gennaio 2021 del Comitato per i Diritti Umani dell’Onu, è ora acclarato anche in sede giurisdizionale dal Tribunale di Roma; e fa drammaticamente emergere non solo il comportamento degli imputati, ma anche la responsabilità delle autorità italiane, tra cui il Ministero della Difesa e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che hanno preso parte al processo in qualità di responsabili civili di quanto accaduto – proseguono i legali -. I nostri assistiti che in mare, nelle 5 ore in cui hanno atteso invano i soccorsi, hanno visto annegare i loro congiunti e in molti casi i loro bimbi ed essi stessi rischiato la vita, ci hanno sempre chiesto di fare in modo che quanto accaduto non si ripetesse e per questo hanno affrontato anche l’agonia di questo lungo processo. Oggi possiamo sperare che questa decisione ricordi a tutti i doveri convenzionali e legislativi in capo a chi fa e gestisce il soccorso in mare. La decisione del Tribunale di Roma non attiene solo fatti passati, ma riguarda anche quelli odierni e futuri: le vite umane in mare vanno sempre salvate e nessun ordine o convenienza può sopprimere questo inderogabile dovere. Esprimiamo gratitudine nei confronti di Fabrizio Gatti che con la sua inchiesta giornalistica ha contribuito ad aggiungere tasselli di verità e ha dato inizio a questa battaglia di giustizia”, conclude la nota degli avvocati Mario Antonio Angelelli, Alessandra Ballerini, Dario Belluccio,Emiliano Benzi, Silvia Calderoni, Stefano Greco, Giuseppe Nicoletti, Gaetano Mario Pasqualino, Arturo Salerni.

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